Six Ways to Sunday, CAG Vancouver
Peep-Hole, Milano e Contemporary Art Gallery, Vancouver, presentano la prima mostra personale in Italia dell’artista canadese Liz Magor, sesto e ultimo appuntamento del progetto pluriennale Six Ways to Sunday. Artista canadese tra le più celebrate e influenti della propria generazione, Liz Magor esplora le forme del quotidiano, riproducendo oggetti domestici e presentandoli in contesti inattesi. Il progetto concepito per Peep-Hole è costruito intorno a un corpo di opere, scelte anche in riferimento al contesto geografico in cui si è sviluppata l’Arte Povera, che consiste principalmente in un’ampia selezione dalle serie delle coperte, alcune recenti e altre realizzate per l’occasione, e in sculture che includono campioni di tessuto, abiti e etichette.
Gli anni Ottanta hanno segnato un passaggio fondamentale nella carriera di Magor, quando il suo lavoro viene esposto alla Biennale di Sydney (1982), alla Biennale di Venezia (1984), a documenta 8 (1987). È in questo periodo che la ricerca dell’artista si sposta verso un’analisi del ruolo sociale degli oggetti e la loro capacità di conservare e riflettere storie e identità personali e collettive. Ad esempio, se in opere di grandi dimensioni come Hudson’s Bay Double (2011) Magor evoca la tradizione del “Color-field painting”, rivisitata utilizzando pesanti coperte in lana lavate a secco, in altre esplorale associazioni latenti connesse a utensili domestici come piatti e vassoi, ad alcuni effetti personali e a oggetti quotidiani non più utilizzati, nel tentativo di evidenziarne l’importanza al di là della loro funzione. Caratteristici della pratica dell’artista, i lavori con le coperte indagano l’ontologia di forme ordinarie e familiari, riprodotte e presentate in nuovi contesti. Questi “serviceable objects”, come lei stessa li definisce, sono intrisi di riferimenti, oggetti abbandonati ma ancora profondamente permeati da significati condivisi, capaci di evocare un legame tra la sfera privata e imprese di più ampio respiro.
Una volta recuperate, le coperte vengono pulite e sottoposte dall’artista a un processo di rigenerazione, così da veicolare concetti più astratti. Alcune sono combinazioni di frammenti di coperte in modo che ogni opera, se dispiegata, possa adattarsi a un letto king-size. Gli interventi materiali dell’artista, quali la tintura a mano, il rimodellamento delle forme o il rifacimento delle cuciture celebrano il rinnovamento e sono estensioni di segni di conservazione. Se le coperte presentano dei rammendi, tali interventi vengono moltiplicati; se hanno macchie, queste vengono macchiate ulteriormente, per mantenere viva la materia. L’impiego del cucito e di altre decorazioni non è un tentativo di celebrare un “lavoro da donne” o abilità domestiche femminili, ma è esclusivamente un intervento finalizzato a prolungare la vita del materiale. In opere come Alberta/Quebec (2013) Magor lavora sull’origine dell’oggetto. Le coperte in lana sono prodotte in tutto il mondo usando gli stessi materiali e le stesse tecniche, per quanto le loro etichette facciano affermazione di unicità; e così una dicitura come “Made in Alberta”, per esempio, è parte di un processo di nominazione che distingue una cosa da altre molto simili ad essa. La presenza di cartellini e involucri da tintoria, talvolta aggiunti in extremis, è quasi un tentativo di allungare la vita del materiale certificandone la freschezza e la rigenerazione, palesando i segni della manifattura e della conservazione, per affermare una vita e una sopravvivenza senza fine.
Attraverso questi interventi di varia natura e in modo letterale attraverso i buchi e le tracce dell’usura in opere come Violator (2015) o Moth-proofed (2011), intravediamo altri spazi rivelati fisicamente e metaforicamente, che richiamano una combinazione di pubblico e privato, di cose nascoste e da riscoprire. In modo simile, la fotografia di grande formato A Thousand Quarrels (2014) suggerisce qualcosa che si muove da un regno a un altro, sia esso fisico o fisiologico, conscio o inconscio, dall’oscurità alla luce. Come spettatori siamo coinvolti in una relazione con l’opera che è un rovesciamento di quello che accade con i lavori delle coperte, un emergere dal profondo verso l’esterno anziché un rivolgersi in modo introspettivo verso l’interno.
Allo stesso modo altre opere in mostra giocano con questa idea di un “contenuto” che viene alla luce, che emerge, assumendo nuove connotazioni e finalità. All the Names III (2014) appartiene a una serie di lavori in cui le forme sono racchiuse in involucri di silicone ottenuti da calchi di scatole da deposito, la cui superficie satinata restituisce o respinge silenziosamente il nostro sguardo. Queste scatole racchiudono materiali che un tempo erano estremamente specifici e frutto di un notevole ingegno. Con l’evolversi del sistema produttivo industriale, questi oggetti hanno perso la loro funzione e non possono nemmeno essere considerati rarità o antichità, perché incompleti, essendo solo unità o parti di un processo di produzione. Al contrario di quanto avviene in un’opera come Mademoiselle Raymonde (2014) in cui centrini, nastrini, involucri di plastica e vecchie etichette in carta fuoriescono dal calco in gesso di un sacchetto, questi oggetti sono chiusi ermeticamente suggerendo appena quanto è contenuto all’interno, un mondo celato, un non detto. La vita di solito non si adatta a un modello precostituito. C’è sempre qualcosa che va oltre, qualcosa che non ha senso. Come le opere con le coperte, questi lavori proseguono l’indagine di Magor sulla discrepanza tra percezione e realtà, il suo interrogarsi sulle nozioni preconcette delle cose che non sono mai esattamente come sembrano.
La mostra è una collaborazione tra CAG, Vancouver, Peep-Hole, Milano e Centre d’art contemporain d’Ivry – le Crédac, Francia, dove verrà presentata in autunno 2016 in una versione estesa. Realizzata grazie al generoso supporto del Liz Magor Circle of Friends: Rick Erickson e Donna Partridge, Henning e Brigitte Freybe, Joe Friday, Sue e Bill Kidd, Suzie Kololian, Julia e Gilles Ouellette, Lisa e Terry Turner, Nada Vuksic e Bruce Wright.
La mostra Liz Magor è parte di Six Ways to Sunday, un programma pluriennale con il quale ogni anno Peep-Hole dedica un evento alla collaborazione con un’istituzione d’arte contemporanea internazionale, diventandone temporaneamente la project room satellite. Con Six Ways to Sunday Peep-Hole ha aperto il suo spioncino sulle programmazioni di sei istituzioni museali internazionali che presentano le più interessanti ricerche artistiche contemporanee.
The Contemporary Art Gallery (CAG) è il primo centro indipendente per l’arte contemporanea di Vancouver, fondato nel 1971. CAG è uno spazio pubblico non-profit dedito alla ricerca, all’esposizione, all’educazione e alla documentazione nel campo delle arti visive contemporanee che opera a livello nazionale e internazionale. CAG aspira, attraverso l’accesso libero e un programma di portata internazionale, a formare e accrescere nel pubblico l’interesse e la comprensione dell’arte contemporanea. www.contemporaryartgallery.ca
Liz Magor (1948, Winnipeg, Canada) vive e lavora a Vancouver. Tra le mostre personali più recenti: Light my Fire: Some Propositions about Portraits and Photography, Art Gallery of Ontario, Toronto (2013); Histoires des Amériques, Musée d’Art Contemporain, Montréal; Liz Magor, The Power Plant, Toronto (2003). Magor ha inoltre preso parte a numerose collettive in istituzioni internazionali, quali: CCA Wattis Institute for Contemporary Art, San Francisco; Museum of Contemporary Art, San Diego (2004); National Gallery of Canada, Ottawa (2001); Museum of Contemporary Art, Sydney, (1996); Stedelijk Museum, Amsterdam (1995); Museum of Modern Art, New York (1992); Centre International d’Art Contemporain, Montréal (1985).Ha inoltre partecipato a importanti eventi espositivi internazionali come la Biennale di Sydney (1982), la Biennale di Venezia (1984), documenta 8 (1987).
01. Liz Magor, Hudson's Bay Double, 2011
Lana, tessuto, metallo, gesso polimerizzato
Ph Laura Fantacuzzi – Maxime Galati-Fourcade
02. Liz Magor, veduta della mostra
Ph Laura Fantacuzzi – Maxime Galati-Fourcade
03. Liz Magor, veduta della mostra
Ph Laura Fantacuzzi – Maxime Galati-Fourcade
04. Liz Magor, veduta della mostra
In primo piano: Alberta/Quebec, 2013, lana, tessuto, filo, tintura, plastica, metallo, legno
Ph Laura Fantacuzzi – Maxime Galati-Fourcade
05. Liz Magor, veduta della mostra
Ph Laura Fantacuzzi – Maxime Galati-Fourcade
06. Liz Magor, veduta della mostra
Ph Laura Fantacuzzi – Maxime Galati-Fourcade
07. Liz Magor, veduta della mostra
In primo piano: All the Names II, 2014, gomma siliconica, tessuti di cotone, carta
Ph Laura Fantacuzzi – Maxime Galati-Fourcade
08. Liz Magor, All the Names II, 2014
Gomma siliconica, tessuti di cotone, carta 27 x 43 x 33 cm
Courtesy Catriona Jeffries Gallery, Vancouver e Marcelle Alix, Parigi
09. Liz Magor, veduta della mostra
Ph Laura Fantacuzzi – Maxime Galati-Fourcade
10. Liz Magor, veduta della mostra
In primo piano: Formal II, 2012, gomma siliconica al platino, sedia
Ph Laura Fantacuzzi – Maxime Galati-Fourcade
11. Liz Magor, veduta della mostra
Ph Laura Fantacuzzi – Maxime Galati-Fourcade
12. Liz Magor, veduta della mostra
Ph Laura Fantacuzzi – Maxime Galati-Fourcade
13. Liz Magor, A Thousand Quarrels, 2014
Stampa fotografica
Courtesy l'artista
14. Liz Magor, veduta della mostra
A sinistra: Violator, 2015, lana, colore, cellophane, cartone
Ph Laura Fantacuzzi – Maxime Galati-Fourcade
15. Liz Magor, Camping, 2013
Lana, gesso polimerizzato, scaglie d'argento, legno, metallo, 172,75 x 73,75 x 17,78 cm
Courtesy Susan Hobbs Gallery, Toronto; Collezione TD Bank, Toronto
16. Liz Magor, Phoenix, 2013
Lana, filo di cotone, scaglie di mica, 146 x 56 x 113 cm
Courtesy Catriona Jeffries Gallery, Vancouver e Marcelle Alix, Parigi